Un libro velocissimo che parla del male, di pterodattili, di una vecchia che mangia esseri umani (in modo decisamente colorito), della persona incaricata di procurarle tali cene, del rapporto tra un padre e una figlia malata. Soprattutto, però, L’incanto del pesce luna parla di come certe situazioni possano renderci insensibili o totalmente impermeabili alle mostruosità che ci troviamo ad affrontare. Se per lavoro ti passano davanti agli occhi decine di migliaia di morti, vederne alcuni in più farà poi così tanta differenza? Anche se sei tu a portarli al patibolo? Anche se portarceli è l’unico modo per aiutare tua figlia?
Un romanzo crudo, con arti, teste e interiora da raccogliere a fine banchetto, mai un vero momento di relax o di felicità, zero stare sereno, solo oscurità, letti d’ospedale, cose più intuite che veramente raccontate, fino al finale che nessuno s’aspetta e poi, finalmente, forse qualcosa che potrebbe essere addirittura una gioia.
Me l’hanno venduto con “questo è per te, visto che ti piace Morozzi!”, ma qui non c’è mai un momento in cui fare anche solo mezzo sorriso. E non è un male, anzi. Io posso venderlo a voi come un libro horror (anche se in realtà le scene davvero horror non sono moltissime), ma sarebbe solo la descrizione più superficiale: scendendo più in profondità, le cose che rimarranno con me sono il rapporto padre/figlia (ma va?), i (pochissimi) dialoghi con la vecchia e, in particolare, una frase: “Ammettilo, non ti sei trovato poi così male nel nostro piccolo inferno”.
Perché il discorso è tutto lì: si può arrivare a certi livelli (livelli molto molto bassi) solo per l’amore di una figlia?
Lo scoprirete nelle ultime pagine.
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