I cervelli sani si somigliano tutti, i cervelli con un ictus hanno l’ictus ognuno a suo modo. Ma forse non è nemmeno così. Leggendo Poverina, di Chiara Galezzi, si ha la sensazione che mentre si parla di un’emoraggia celebrale di una ragazza di 34 anni chiunque non sappia dire altro che “poverina” ma anche “per fortuna che ti è successo ora”.
“Che tu possa avere un ictus in gioventù” non è una cosa che si augura a qualcuno, ma nel mondo in cui si è ritrovata la narratrice di questa storia, tutto è al contrario. In un momento molto rivelatorio, Chiara si rende conto di essere ritornata bambina:
Ci sono molte esperienze che accomunavano me a un bebè: fare i bisogni nel pannolone, delegare le proprie esigenze a un adulto, piangere spesso. Ora anche imparare a camminare. (pag. 120)
Il fatto che un ictus possa venire a chiunque in ogni momento della sua vita è una cosa che mi preoccupa, da quando ho 11/12 anni e guardando una puntata di ER Medici in prima linea con i miei scoprii che ti può venire un ictus anche scendendo le scale. Ma prendendo una botta forte? Non per forza. Anche solo allacciandosi le scarpe. Ma prendendo una botta forte mentre ci si allaccia le scarpe? No, davvero, basta esistere e può succedere questa cosa.
Chiara stava semplicemente esistendo quando metà del suo corpo ha iniziato a funzionare male. Non era solo ansia, né panico, ma un qualcosa che ha smesso di funzionare come doveva. Il dipanarsi degli eventi è molto divertente, ci sono alcuni momenti (molti) in cui vi toccherà fermare la lettura per ridere di gusto. Perché si parla di un’ospedalizzazione, ma anche di cacca dura, assemblee di condominio, Marina Abramovich e ciabatte antiscivolo modello Emanuela.
C’è poi una parte molto riflessiva, introspettiva ed esilerante, legata a dei mocassini Gucci.
In fondo, Poverina è un libro che parla di guarigione e che, mentre su un livello manda avanti la narrazione (cosa le è successo giorno per giorno) da un altro ci pone davanti a delle domande che tutti, oserei dire, ci siamo posti in geometrie diverse negli ultimi 3 anni: come ci rapportiamo col dolore proprio e altrui.
Simpatia, empatia, compassione, compatimento e tutte le emozioni che stanno lì in mezzo, in Poverina si trova tutto questo. Una signora chiede a Chiara come stia (era mezza paralizzata, scusate se ribadisco), e per farle capire quanto comprendesse la sua situazione le ha detto che anche lei una volta è rimasta un po’ bloccata a causa della cervicale.
Cosa mancava a questa signora, oltre che il dono del silenzio? Perché doveva paragonare il dolore di Chiara alla sua piccola esperienza individuale? E perché oguno reagisce in un arcobaleno di modi diversi alla notizia dell’ictus di Chiara? Forse, mi viene da azzardare, è che non esistono cervelli sani, ma solo diversi gradi di malanni, alcuni più gestibili di altri.
Questo però, almeno dal mio punto di vista, ci conduce ad un piccolo paradosso. Da un lato ognuno, a cominciare dalla narratrice, rivendica il diritto di affrontare il proprio dolore come crede, dall’altro ognuno ha il suo modo di affrontare il dolore degli altri… il che crea un bel problema no? Come cavolo comunichiamo, in un mondo doloroso, in cui non sappiamo relazionarci con i dolori reciproci?
Non c’è una risposta, se non dicendo che è complicato. Ma c’è una frase che Kurt Vonnegut diceva spesso, devo averla letta in Quando siete felici, fateci caso, in uno dei discorsi che faceva agli studenti che stavano il giorno della laurea. La frase era: “Siate buoni, cazzo” o qualcosa di simile. E penso sia in sostanza uno degli altri insegnamenti nascosti di questo libro.
Ma, chi l’ha letto dirà “Chiara non è quasi mai gentile”. Vero, ma lei ha avuto un ictus, poverina.
Poverina lo trovate sul sito di Blackie Edizioni (che mi ha gentilmente inviato una copia del libro) o su Amazon.
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